Copertine&Sofà: La magica rivoluzione musicale degli Afro-Sambas

Cari musicofili, questo mese vi racconterò una storia un po’ speciale.
Si tratta di un album dalle sonorità calde d’oltreoceano, di luoghi in cui vi porterei sperando di stregarvi come questa musica ha fatto con me.
L’album in questione è Os Afro-Sambas, prodotto da due artisti brasiliani, Baden Powell de Aquino e Vinicius de Moraes, e uscito nel 1966.
Sulla copertina, abbastanza essenziale del disco, spiccano Baden Powell (sinistra) e Vinicius (destra), in bianco e nero su uno sfondo rosso vivo. Il primo nato da genitori schiavi e con forte tradizione musicale: il nonno, ancora prima della fine della schiavitù (1888) aveva creato un’orchestra composta interamente da schiavi, mentre il padre, calzolaio, arrotondava le poche entrate suonando la tuba ed il violino alle feste di paese. A Rio, il piccolo Baden Powell cominciò presto a strimpellare ritmi sambati con la chitarra della zia, stimolato dal continuo andare e venire casalingo di famosi musicisti brasiliani. Grazie alla sua predisposizione e a delle lezioni private, a quindici anni suonava già come professionista alla radio, nei bar, nelle favela e nei nightclub.



Vinicius invece, nacque in una famiglia amante della musica e compose poesie sin da piccolo. Studiò diritto e letteratura, pubblicò dei libri e lavorò come censore cinematografico. Nel 1954, la sua opera  Orfeu da Conceição vinse il concorso del IV centenario di San Paolo, la quale fu poi trasposta da Marcel Camus sul grande schermo con il titolo di Orfeu Negro, ricevendo numerosi riconoscimenti.
Una sera del 1962 Vinicius si recò presso un locale a Rio e lì assistette ad un’esibizione di Baden Powell, rimanendo affascinato dal suo talento, tanto da chiedergli di collaborare.
Curiosamente, prima ancora di incontrarsi, entrambi erano rimasti affascinati da alcuni aspetti della cultura di Bahia, stato del nord-est del Brasile, ovvero la culla della capoeira, del samba e di religioni come il candomblé: Vinicius nel momento in cui ricevette un disco di musica tipica del luogo e Baden Powell durante il periodo che trascorse a Bahia, alla ricerca delle radici del Samba. Approfondendo la conoscenza di questa zona, vennero in contatto con sincretismi religiosi sopravvissuti alla tratta degli schiavi, in particolare con il candomblé, e con la capoeira. Bisogna ricordare che entrambe queste pratiche erano fortemente osteggiate e discriminate e che la capoeira era stata legalizzata solamente negli anni ’40.
Farò un accenno su entrambi perché penso possa essere importante capire le radici di questa musica.

Candomblé letteralmente significa “danza dei neri” e fa riferimento all’insieme dei riti animisti afrobrasiliani presenti nello stato di Bahia. Si tratta di un sincretismo religioso perché si è sviluppato a partire dall’incontro tra il candomblé africano e il culto cristiano, all’inizio come strategia di occultamento della propria professione di fede. Nel tempo però questo processo ha portato alla commistione di certi aspetti delle due religioni, visibili ad esempio nella presenza del nome di alcuni santi cristiani  nei riti praticati. Le divinità ancestrali di questa religione sono chiamate orixás, e ci è utile saperlo perché molte delle canzoni dell’album prendono il nome da queste divinità, ad esempio Canto de Ossanha, una divinità definita come traditrice e fonte di sofferenze d’amore per coloro che si fidano del suo consiglio. La mia canzone preferita dell’album è Canto de Yemanjá, orixá  dalle vesti celesti proveniente dal mare, grande madre primordiale.

La storia della capoeira d’altro canto è frutto di una strategia di sopravvivenza e non convivenza. Infatti, nel periodo coloniale, dopo l’attacco degli olandesi al Brasile, molti schiavi ne approfittarono per fuggire e fondare nelle foreste dell’entroterra dei villaggi indipendenti chiamati quilombos. Qui, per proteggersi, misero insieme le svariate conoscenze nelle arti di combattimento e ne crearono una nuova: la capoeira. Questi villaggi resistettero cent’anni prima che le armi da fuoco avessero la meglio. Nonostante la ripresa della schiavitù, la capoeira continuò a diffondersi grazie alla trasmissione messa in atto via via dalle generazioni.  Si arricchì di movimenti esornativi e superflui al combattimento forse per mistificare la propria natura e si trasformò in un gioco rituale, diffuso ancora oggi in tutto il mondo. Uno degli strumenti musicali che accompagnano quest’arte è il berimbau e Baden Powell è stato un pioniere nel ricreare le ritmiche di questo strumento con il suono della sua chitarra.

Nel complesso, si tratta di un album estremamente trascinante, inquieto e profondo, dove il ritmo delle percussioni si fonde con le melodie incantatrici dei flauti e della chitarra di Baden Powell. Il tutto ad arricchire il contrasto creato tra le soavi voci delle coriste e la ruvidezza della voce di Vinicius. Un album carico di ossimori sonori e concettuali in quanto anche i testi sono tormentati e spesso contraddittori. In particolare, il tema principale sembra essere quello di una felicità raggiungibile solo tramite la sofferenza, dell’amore vero come quello che ferisce, della passione nel senso originario del termine, che è anche possedimento, estasi mistica ed espiazione per cui ci si rivolge alle divinità spesso traditrici. Il significato è anche legato ad un mondo ingannevole in cui la pace non vuol più dire amore, ma staticità e superficialità, protezione dall’amore stesso. Possiamo definirlo un album rivoluzionario perché le tematiche trattate si differenziano dalle solite legate alla musica samba, più leggere ed allegre, ma anche perché il suono schiettamente africano, raffinato e autentico entra in rottura con l’estetica musicale di quel periodo. Sono ormai affezionata al suono magico e prezioso regalatomi da questo album e ne suggerisco vivamente l’ascolto.
Sarà un viaggio di cui non vi pentirete.
Peace




Federica Albo aka Umana from Deeple

IG: @federica.albo









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