ST21 GAZETTE:BEATMAKING, COME NASCE UNA BASE STRUMENTALE

È facile dimenticarlo oggi ma prima che nell’hip-hop i rapper fossero i protagonisti c’erano solo i beats!
L’hip-hop è nato tra i palazzi dei poverissimi ghetti di New York, dove le famiglie non potevano permettersi di acquistare strumenti per i propri figli e persino la produzione musicale più rudimentale sembrava fuori portata. Ma grazie all’inventiva di DJ come Kool Herc, Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash la musica ha trovato lo stesso la sua strada! Nel South Bronx degli anni ’70 infatti questi DJ selezionavano ai party improvvisati i migliori suoni del funk, del soul, del rock e della disco music, usando il giradischi come uno strumento vero e proprio, con il quale creavano un collage di effetti: loop, break, beat, scratch.

La diffusione di questo nuovo modo di fare musica ha fatto sì che nascesse la figura del beatmaker, fondamentale nella realizzazione della traccia. Se alle origini dell’hip-hop il beatmaker era visto come un tipo solitario, recluso nel suo scantinato, circondato da cumuli di dischi e di attrezzature tecniche, al giorno d’oggi abbiamo produttori famosi quanto gli mc. Basta pensare a nomi come Timbaland, Just Blaze, Kanye West, Pharrell o Swizz Beatz
Innanzitutto è bene chiarire la differenza tra beatmaker e produttore, termini che spesso sono usati come sinonimi ma non sempre lo sono.

Il beatmaker è il compositore, colui che si occupa fisicamente della creazione della base strumentale. Il produttore è colui che è responsabile del suono finale di una registrazione. Segue tutto il processo creativo della realizzazione della traccia musicale (o di un intero album) guidando gli artisti che ne fanno parte, dando consigli agli ingegneri del suono sulla selezione dei microfoni e dei processori di effetti da utilizzare e su come mixare i livelli della voce e degli strumenti, e cura arrangiamenti, tonalità e suoni.

La stessa persona può ricoprire entrambi i ruoli, come spesso accade, o essere solo uno di questi, non necessariamente ma a volte il beatmaker/produttore è anche DJ. Alcuni esempi possono essere P.Diddy, produttore di dischi hip-hop diventati classici tra i quali quelli di Notorious BIG, e Pharrell Williams beatmaker e produttore, oltre che cantante, di grandi successi hip-hop e pop.

Negli anni il beatmaking è cambiato e si è evoluto moltissimo . Il passaggio dall’analogico al digitale, il miglioramento delle tecniche e delle tecnologie e l’abbattimento delle barriere fisiche (oggi si può lavorare allo stesso progetto anche da diverse parti del mondo) hanno fatto sì che le nuove generazioni di beatmaker siano pi ù veloci e produttivi. Nonostante questa evoluzione, ciò che non è mai cambiato è il procedimento con il quale ha origine la base strumentale. Ci sono principalmente due strade, a sua totale discrezione, che il beatmaker può prendere per iniziare il processo creativo, entrambe ugualmente valide.

La prima via è utilizzare una drum machine per creare la batteria del beat, che rappresenta insieme al basso la parte percussiva e ritmica della base musicale, dopodichè con gli altri strumenti musicali classici o con i sintetizzatori crea le melodie. La drum machine più utilizzata è la Roland TR-808, macchina analogica rimasta un pilastro per decenni, mentre le digitali più utilizzate sono E-mu SP-12 e SP-1200 e la serie Akai MPC.

La seconda possibilità è utilizzare un campione e il procedimento con cui ottenerlo è il campionamento, che consiste nel tagliare e riutilizzare una porzione di una registrazione musicale in un’altra registrazione. Il campione può contenere il ritmo, la melodia, il parlato, i vocalizzi o intere barre musicali e una volta tagliato dalla registrazione originale può essere accelerato, rallentato, ripetuto in loop, equalizzato, pitchato o manipolato in altro modo per rendere il suo utilizzo più originale e personale. Questa tecnica fu esplorata per la prima volta nel 1982 da Afrika Bambaata, sul nastro Soulsonic Force Planet Rock, che campionava parti dell’atto di ballo Kraftwerk, ed è stata parte integrante della produzione hip-hop fino ad influenzare tutti gli altri generi musicali, pop e musica elettronica in modo particolare.
I campioni sono lavorati grazie all’utilizzo di campionatori, come i classici E-mu Systems SP-1200, Akai MPC60, Akai MPC3000 or Ensoniq ASR-10 , anche se oggi nell’ultimo decennio sono stati spesso sostituiti da workstation audio digitali.
Oggi il processo creativo è stato decisamente semplificato rispetto alle origini. Esistono software che permettono di suonare strumenti virtuali (VST) per creare la propria melodia, simulando gli strumenti veri e propri, dal pianoforte alla chitarra, dal basso ai sintetizzatori analogici anni’70. Inoltre è possibile trovare online librerie di suoni, liberi dal copyright oppure a pagamento, da integrare nelle proprie produzioni e trovare corsi specializzati e tutorial che insegnano come utilizzare hardware esterni (campionatori, sintetizzatori, ecc…) e software.
Quando ho iniziato io tutto ciò sfortunatamente non esisteva, ho dovuto imparare da autodidatta, provando e riprovando a riprodurre ciò che ascoltavo nei dischi dei miei produttori preferiti ed investendo nelle attrezzature che non erano alla portata di tutti.

Ma alla fine le cose fondamentali per un beatmaker sono il suo orecchio e la sua testa!

I software e gli hardware sono solo strumenti coi quali il produttore può realizzare la propria idea, una visione che sia unica e originale.

TYRELLI
IG: @Tyrelli | FB: BlackFlow Enterprise

CREDITS:

studio21streetdanceschool.com

IG: @studio21torino


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